Adriana Lecouvreur è la terza e penultima opera del compositore calabrese Francesco Cilea (1866 – 1950) e andò in scena per la prima volta al Teatro Lirico di Milano nel 1902. La trama prende spunto dalla vita dell’omonima attrice francese del XVIII secolo e dalla sua precoce e misteriosa morte. La prima dell’opera ebbe un successo immediato, che le permise di entrare nel repertorio e rappresenta il punto di incontro più felice tra la spontaneità di un melodismo di scuola napoletana e una scrittura armonica e timbrica aggiornata sui recenti modelli francesi; fu anche l’unica opera di Cilea ad avere successo.
Francesco Micheli vede il vero protagonista di questa Adriana in Michonnet, il capo comico e direttore di scena della Comédie Françoise, di cui l’attrice è eroina indiscussa. Nell’idea registica Michonnet è colui che, come un burattinaio, tira i fili della vicenda; è colui che assiste come un vero regista all’infelice amore tra Adriana e Maurizio; è colui che guarda inerme la Principessa di Bouillon che quasi come in un sogno porge i fiori avvelenati ad Adriana. I vari personaggi sono tutte sue creature e la fine di Adriana è vista come essa stessa uno spettacolo a cui tutti assistono assisi nelle loro poltrone come a teatro. Le scene sono praticamente inesistenti, sostituite dai tralicci del palcoscenico e da immense lampade cinematografiche, in cui le luci avvolgono e immergono i personaggi come trasfigurandoli, e la stessa Adriana muore in un fascio di luce che la rende una silhouette, un’icona, un mito (scene e luci sono realizzate da Nicolas Bovery). Si è voluto dare un’idea immediata e dura della vita del palcoscenico dalla parte degli attori che per entrare in scena si immergono in questi fasci di luce come avvolti in una nube fantastica. Anche il duetto tra le rivali avviene in questa ambivalenza di luci, in cui un pannello di fari ruota intorno alle protagoniste, realizzando un suggestivo effetto di chiaroscuro. In questa scena scarna, se vogliamo inesistente, in mezzo a questo contrasto luce – buio, entrano, quasi come elementi magici, i costumi di Alessio Rosati, che riportano con poesia e fascino i personaggi nella loro epoca e nei loro ruoli, caratterizzandoli in modo decisivo; anche gli attori della Comédie, nel loro breve ruolo, emergono per gli accurati e bizzarri costumi che ricordano l’antica commedia dell’arte. Non possiamo non citare lo svolazzante abito dell’abate di Chazeuil, oppure il parruccone del principe di Bouillon, ma ogni abito è stato realizzato con un discorso filologico di fondo che dimostra la maestria del costumista e della mano artigianale della fattura della Diacosmie di Nizza. Ottima la caratterizzazione che Micheli ha voluto dare ai personaggi, in cui spicca per simpatia il frivolo abate di Chazeuil, ma anche la passionale Adriana e l’evanescente Maurizio, oppure la crudele Principessa e non per ultimo il lussurioso Principe. Una regia che si gusta, anche se la visione psicologica moderna dell’interpretazione del soggetto non sempre è immediata e fruibile al pubblico, a cui va aggiunta qualche licenza registica non sempre apprezzabile.
Nel ruolo del titolo il soprano romeno Cristina Pasaroiu ha dato una discreta prova: brava negli acuti impeccabili, la voce però perde consistenza nella gamma delle note basse in cui diventa impercettibile; da migliorare anche il fraseggio (ma senza dubbio la voce è ancora giovane e deve maturare); apprezzabile la romanza Io son l'umile ancella e Poveri fiori, anche se la prima è stata cantata con poco smalto, mentre la seconda ha ampiamente riscattato il tutto. Pienamente nella parte Laura Brioli nella Principessa di Bouillon: dopo un inizio un po’ in sordina, è esplosa in una grande interpretazione, in cui la sua voce di mezzosoprano è risaltata soprattutto nelle note gravi, ottenendo un personaggio credibile e spietato. Brillante Bruno Ribeiro in Maurizio: nonostante le condizioni di salute del cantante fossero precarie a causa di una grave infiammazione alla gola, è riuscito a dare una prova davvero eccezionale, mostrato un’emissione vocale di decisa potenza, unita a stabilità melodica, timbro ampio e corposo; ne è risultato un personaggio sensuale e raffinato. Non possiamo non citare la grande abilità artistica del baritono statunitense Steve Cole, in un frizzante abate di Chazeuil, in cui l’abilità attoriale e la simpatia innata hanno ampiamente supplito ad una voce non sempre ottimale. Molto buona l’interpretazione di Davide Damiani in un incompreso Michonnet, dalla voce molto intensa ed efficace. Convincente il basso greco Christophoros Stamboglis nel Principe di Bouillon. Ricordiamo infine i quattro attori della Comédie: Quinault (Alessandro Spina), Poisson (Fréderic Diquero), Mademoiselle Jouvenot (Gabrielle Philiponet), Mademoiselle Dangeville (Juliette de Banes Gardonne), bravi, vivaci e nei ruoli.
Alla guida dell’Orchestre Philharmonique de Nice il maestro Roland Böer ha una direzione solida e impeccabile. Attento al più piccolo dettaglio, riesce ad unire le voci all’orchestra e sostiene con perizia il ritmo di una lunga drammaturgia senza far avvertire stanchezza o lungaggine, ma brio e ariosità. Ottima la prova del Choeur de l'Opéra de Nice, preparato dal maestro Giulio Magnanini, che compare in scena come il pubblico di uno spettacolo, anonimo e con maschere.
Teatro dell’Opéra di Nice gremito per questa insolita Adriana: il pubblico ha ampiamente apprezzato i cantanti, i costumi e la regia, ma quest’ultima è stata oggetto di qualche contestazione.